venerdì 8 ottobre 2010

Per una scuola europea

Maurizio Matteuzzi

Premessa

Da un po' di anni tengo i miei corsi, sotto le varie etichette di filosofia del linguaggio, di intelligenza artificiale, teoria della mente artificiale et similia, incentrandoli sul problema mente/corpo. Ho rinunciato a concepire e tantopiù a svolgere corsi di carattere monografico da quando mi sono accorto che gli studenti, a furia di riforme, di trepiùdue, di crediti formativi e quant'altro, hanno smesso di individuare i testi attraverso le loro qualità primarie (autore, titolo, luogo, anno), e sono passati a quelle secondarie (quel libro verde, abbastanza grosso, con una farfalla in copertina ...). Così, vuoi nei corsi di taglio filosofico, vuoi in quelli di taglio più tecnico, vuoi nei corsi di base (triennale) vuoi in quelli avanzati (si fa per dire), mi imbatto sistematicamente nel problema di svolgere una parte almeno sopra il pensiero di Cartesio. Andando a constatare quali siano le ricorrenti difficoltà che incontrano i ragazzi, mi sono interrogato sulle precondizioni, e quindi, conseguentemente, su ciò che che io mi aspetto da una persona di media cultura, che si propone agli studi accademici, e che la scuola secondaria non fornisce, o fornisce male. Da queste considerazioni, che sono solo casualmente riferite a Cartesio, ma ambiscono ad essere di natura del tutto generale, anche se farò sempre, per amore di concretezza, riferimento a quel caso, mi è sorta da tempo un'idea di scuola secondaria che mi piace proporre alla riflessione degli specialisti.

1 - La logica

La logica è una di quelle discipline confinate entro l'insegnamento universitario. Voglio dire che al di fuori dell'università, essa non compare come tale entro il nostro ordinamento scolastico. A dire il vero, anche nell'insegnamento accademico non occupa un posto di rilievo: nella maggior parte dei casi, rappresenta un corso "libero", o "a scelta", e può quindi essere facilmente evitata. Poiché naturalmente non si può prescindere dal fare i conti con la logica, almeno in una qualche accezione, essa fa capolino entro i contesti più vari. Ad esempio, non è infrequente che il professore di lettere, correggendo i temi, segnali "errori di logica", di quel tipo che, nel gergo medievale, sarebbe definito non sequitur
Certo non è possibile qui affrontare in profondità la vexata questio di che cosa sia la logica, topos di eminente valenza epistemologica. Ma gioverà fare almeno qualche considerazione, pur volando basso. Logica come arte del ragionare correttamente; logica filosofica; logica matematica; logica simbolica; etc. Di quale logica si vuole qui parlare, e quale, semmai, andrebbe inserita nei curricola scolastici? Partiamo da una considerazione preliminare, assolutamente banale: chiunque ritiene di possedere la logica, di essere logico, di argomentare correttamente. Qui non può non affiorare alla mente la celebre teoria dell'errore di Cartesio, secondo la quale l'errore va messo in conto non all'intelletto, ma alla volontà: l'intelletto è adeguato a certa conoscenza, e rispetto ad essa non è fallace; l'errore nasce quando la nostra volontà spinge l'intelletto a pronunciarsi su questioni per le quali è inadeguato. Così, se si usa l'intelletto per capire un semplice teorema di geometria, esso svolge adeguatamente il suo compito; se lo si usa per prevedere quali numeri usciranno al lotto, l'errore sarà molto probabile, quasi sicuro. Cartesio ha naturalmente motivi molto seri per sostenere questa teoria, in sintesi egli deve rendere non fallace il criterio fondante della sua filosofia, quello delle idee chiare e distinte.
Prescindendo da tale finalità, è pur vero che in questa tesi si annida una constatazione importante: l'intelletto umano è direzionale, vale a dire, sta in nostro potere applicarlo a questo o a quell'oggetto, in questo o in altro contesto. E' questo un tratto del pensiero già rilevato da Aristotele, e diventa asse portante con Husserl e con la moderna fenomenologia: noi possiamo intenzionare gli oggetti, applicarvi il nostro pensiero; sta in noi intenzionare la cosa, non i suoi attributi, pena il ricadere nel delirio fantasmatico. Ma, allora, un insegnamento fondamentale va tratto dalla teoria cartesiana sopra menzionata: molto si può ottenere con l'assunzione di un metodo. La concatenazione degli enunciati segue delle regole, e queste regole sono modernamente note e codificate. Il non sequitur non è un fatto di pancia, di volontà, di forza persuasiva, è un fatto oggettivo, derivante dal contesto assieme alle sue regole di trasformazione. Ed entro un dominio ragionevolmente vasto, vasto quanto meno abbastanza da abbracciare la parte elementare della conoscenza scientifica, tali regole sono note e codificate, a far tempo almeno dalla sistemazione sviluppata in quel periodo che va dalla Begriffsschrift di Frege al così detto secondo teorema di Gödel. Potremmo assumere, come riferimento complessivo, i Principia di Whitehead e Russell. Ora, posto che quelle risultanze sono consolidate, e appartengono al bagaglio di una persona di media cultura dei nostri giorni, perché esse devono essere apprese, dai nostri studenti, quasi di soppiatto, immerse in altre discipline, annidate in insegnamenti più accreditate, delegate ad insegnanti delle materie più disparate? Perché continuare a sostenere la validità di questo o di quell'insegnamento, per quel contributo formativo di quel tanto o quel poco che in esso vi è di logica, senza invece insegnare la logica tout court? En passant: come si fa a sviluppare l'insegnamento, ad esempio, della geometria piana euclidea, palestra tipica del nostro insegnamento liceale, senza la nozione di "teorema"? L'essenza stessa del concetto di scienza deduttiva verrebbe meno; e di fatto spesso viene meno. E d'altra parte, senza qualche nozione elementare di logica delle proposizioni, come si potrebbe definire un teorema? D'altra parte, come non riconoscere che l'insegnamento di un linguaggio formale come la logica delle proposizioni ed, entro certa misura, del calcolo dei predicati del primo ordine, può essere reso didatticamente fruibile fin dalle prime classi della scuola media, se non, addirittura, nella scuola primaria?

2 - La storia della matematica

Per rendere più concrete e comprensibili quelle che io ritengo le maggiori lacune dell'insegnamento secondario, ripropongo qui il mio caso preciso, sotto forma di Gedankenexperiment. Supponiamo dunque, vedi il § 0, di dovere svolgere l'argomento Cartesio, non importa qui se fine a se stesso, entro un corso di filosofia, o come ineliminabile premessa, entro un corso di intelligenza artificiale.. Quali precondizioni della comprensione dobbiamo individuare rispetto al nostro studente tipo? Possiamo limitarci a dire che Cartesio ha ideato la geometria analitica, e ha riformato il simbolismo dell'algebra? Che significato ha questa informazione se non viene colto il fatto che, per la prima volta, il pensiero occidentale non si sta limitando a riscoprire la geometria dei greci? Se non si ha idea della ineliminabile dipendenza dalla geometria che riveste il simbolismo precedentemente usato in algebra, che valenza assume la riforma cartesiana? L'ovvia conseguenza che è grazie a tale ideazione che si fa possibile l'apertura della questione delle equazioni di grado superiore non va irrimediabilmente persa per colui che non abbia alcuna nozione di storia della matematica? Secondo Kant, in una disciplina tanto vi è di scienza quanto vi è di matematica. Trovo l'asserzione sacrosanta. Come distinguere il progresso scientifico dalla ciarlataneria? La questione non è oziosa, sol che si pensi che in ogni epoca non si fatica a trovare più di una tesi spacciata come scientifica e rivelatasi poi completamente errata, fin risibile agli occhi dei posteri. Un solo esempio. Visto che parliamo di Cartesio, prendiamo il capitolo della sua morte. Era un assunto della medicina dell'epoca che il salasso fosse salutare contro la febbre. Così, se un disgraziato contraeva una polmonite, lo si salassava abbondantemente, togliendogli quella pur blanda difesa naturale che era l'unica ancora di salvezza prima della penicillina. Così è morto Cartesio, che ha evitato i salassi minacciando i medici che Cristina di Svezia gli mandava minacciandoli con la spada, finché le forze lo hanno sorretto. La matematizzazione, la quantificazione numerica offre una controprova della bontà di una teoria tale da dare al riscontro empirico quella univocità, quella chiarezza che lo rendono non opinabile e incontrovertibile: questo è il succo del metodo definito da Galileo. Dopo Lavoisier, l'alchimia si fa chimica, cioè scienza, fondando i suoi assunti sui numeri della teoria della valenza, sull'impianto numerico dei pesi atomici e dei numeri atomici della tavola di Mendeleev, riempiendosi, insomma, di numeri. Quando dietro la teoria economica scopriamo un modello econometrico, con capacità predittiva, ecco che ci sentiamo passare dall'opinabile (la teoria politica) al certo, il calcolabile. Con Leibniz: Calculemus! Non tutto sarà così, come sperava il grande di Lipsia, ma ciò che è così ci conforta ...
Ora, da quanto esposto consegue che se non si conosce la storia della matematica, non si può capire un granchè nemmeno della storia della scienza in genere, e quindi del pensiero scientifico tourt court. Ma allora che cosa resta comprensibile di un'epoca? Gli accadimenti militari, le dinastie regnanti, i nomi dei papi? E' questo che ci serve, che ci interessa?

3 - La storia della scienza

La storia della scienza non compare nel nostro ordinamento scolastico. Non è che abbia una posizione marginale, essa non compare affatto. Questo fatto ha delle conseguenze a dir poco paradossali: un nostro laureato, un nostro insegnante, rispetto agli studi che gli sono stati richiesti, ha tutto il diritto di non sapere chi sia Newton. Naturalmente qualche nozione di storia della scienza riesce a fare capolino, un po' trasparendo dalle pagine della "storia", quella ufficile, politico-militare, un po' occhieggiando da qualche medaglione o da qualche glossa posti ai margini dei manuali delle varie discipline scientifiche. Così dal manuale di fisica possiamo apprendere qualche riferimento biografico su Ampere o su Bohr, da quello di chimica su Lavoisier, ma il tutto assolutamente senza un filo conduttore, senza che tali scheletriche notizie, quand'anche riescano a emergere, siano carnificate in un quadro d'assieme, in un costrutto in cui assumere i colori della realtà. Torno al mio solito corso su Cartesio. Nel primo capitolo del celebre discorso sul metodo, Cartesio svolge una critica serrata e costruttiva a tutto il sapere dell'epoca, a quel sapere "accademico" e ufficiale che il collegio di La Fleche gli aveva porto per anni. Ecco, per rendere comprensibile quel passaggio, io devo svolgere ogni volta un preambolo che, più o meno grossolanamente in base al tempo a disposizione, ricapitola che la fisica è già passata per Galileo, ma è in attesa della consacrazione newtoniana per abbandonare definitivamente il suo etimo, che la vorrebbe philosophia naturalis, o scienza della natura, per divenire, dapprima almeno, meccanica razionale; che la chimica non esiste fino a Lavoisier, e l'alchimia si illude ancora di trasformare un elemento della tavola di Mendeleev in un altro; che la biologia è totalmente creazionista, in attesa di Darwin; eccetera. Della matematica s'è detto. E' ben poco; ma senza quel poco, come si può dire di capire qual è l'oggetto della critica cartesiana?

4 - La sincronizzazione

Vorrei qui mettere momentaneamente da parte il nostro caso paradigmatico, il corso su Cartesio, e indugiare invece su un altro, banale, ahimè tanto plausibile da confinare con il vero, esperimento mentale. Proviamo a vivere mentalmente una mattina di uno studente dell'ultimo anno di liceo. Poniamo il classico, per precisare. Prima ora, letteratura: il prof di lettere ci parla di Carducci. Siamo alla fine dell'800. Cambia l'ora, sempre lettere, ma Dante: il paradiso. Siamo ai primi del 1300. Subentra il prof di filosofia, ci fa lezione su Hegel, siamo di nuovo nell'800, ma agli inizi. Poi storia dell'arte, una bella lezione su Donatello, dobbiamo arretrare di tre secoli e mezzo. Ma davvero è bene fare così, ridurre la testa dei nostri ragazzi come un cestone? La sincronizzazione dei programmi è cosa così ovvia e così, come va molto di moda oggi, "a costo zero", da non avere mai fatto breccia, e nemmeno capolino, nella considerazione dei nostri ministri dell'istruzione.

5 - Un approccio europeo

L'insegnamento delle lettere verte esclusivamente sulla letteratura italiana; buio fitto su tutte le altre grandi letterature europee.
Avvalendoci del nostro solito gioco mentale: come percepisce il seicento uno studente italiano fresco di liceo? Decadenza: dopo Ariosto si passa a G.B. Marino e ad Achillini. Il primo problema nostro da inseganti che devono introdurre una figura come Cartesio, è allora quello di far capire al nostro auditorio che il seicento, nella cultura europea, è il gran siècle, è il secolo di Moliere e Racine, di Calderon de la Barca, di Lope de Vega, di Cervantes, di Shakespeare ...
Tra parentesi: sarà giusto il paradosso che un nostro laureato in lettere ha tutto il diritto di non sapere chi sia Shakespeare, e di non averne mai letto una riga?
Allora, dall'analisi della situazione, conviene passare al "progetto". Prendiamo spunto da come si studia la filosofia. Dopo Telesio, Bruno, Campanella, in qualche misura enfatizzati anche per amor di patria, si studia Cartesio, che è francese, poi Spinoza, che è olandese, poi Locke, che è inglese, poi Leibniz, che è tedesco, ecc . A dire il vero, a questo coacervo di nazionalità diverse noi non pensiamo, di solito; ci se ne accorge se e quando ci si pensa, ma non ci si pone il problema.
Non sarebbe giovevole cominciare a pensare alla letteratura allo stesso modo? Dove, se non nella scuola, cominciare a fondare l'Europa? Che cos'è la famosa cultural heritage che la UE spesso sbandiera, per il ragazzo che sta studiando l'Achillini (con tutto il rispetto) anziché Shakespeare?
Mi si conceda una parentesi "introspettiva". Il tifo nello sport. Un cittadino statunitense che assiste ai giochi olimpici tifa per un americano, non si chiede, in quella sede, se sia del Michigan o del Colorado, fa lo stesso. Per noi è un avversario altrettanto "straniero" un americano quanto un francese o un tedesco. Fino a che la penseremo così l'Europa sarà soltanto una espressione geografica, come direbbe Metternich.